di Luca Pallini, allievo della Summer School
La Rettrice vicaria dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale, fra le massime studiose delle condizione femminile, è intervenuta nella giornata inaugurale. La nostra intervista
«Le donne si trovano ancora oggi in condizioni lavorative peggiori rispetto agli uomini, con salari più bassi e impegni familiari più gravosi. E questo rappresenta un grave limite verso il raggiungimento di una reale parità di genere». La professoressa Fiorenza Taricone, Rettrice vicaria e docente di “Pensiero politico e questione femminile” presso l’Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale, è fra le massime studiose sulla condizione della donna. Sul tema ha scritto numerosi saggi ampliando lo sguardo sulla storia dei diritti civili, l’associazionismo, la cultura della pace. Suoi, fra gli altri, i volumi “ Romain Rolland pacifista libertario e pensatore globale” (2017) e “Politica e cittadinanza. Donne socialiste fra Ottocento e Novecento” (2020). L’abbiamo intervistata nella cornice del Festival delle Storie 2022 durante la tappa a San Donato Val di Comino.
Professoressa Taricone, ritiene che ancora oggi per una donna il modello familiare d’origine possa rappresentare ancora un ostacolo alla sua emancipazione?
Dalla rivoluzione del ’68 e in seguito allo sviluppo dei movimenti femministi è iniziato un percorso di graduale emancipazione delle donne, che si sono scontrate con una famiglia e una società fortemente patriarcale, dove si concedevano molte più libertà agli uomini: basti pensare agli stringenti limiti di orario che le donne dovevano rispettare nelle uscite o ai compiti domestici cui dovevano adempiere. Inoltre, mentre ai ragazzi era concessa la libertà di scegliere il proprio futuro, le ragazze, nonostante nella maggior parte dei casi avessero accesso agli studi, avevano un futuro già segnato, quello di costituire una famiglia propria e dunque di diventare madri. Questa era di fatto quella che definisco una “maternità per obbligo”, che ritengo di contestare fortemente in quanto comprime la libertà di scelta dell’essere umano, che considero tra l’altro il maggior portato di questi anni conflittuali. La libertà però non può essere intesa dalle ragazze, come purtroppo avviene oggi, come una liberazione che consiste soltanto nel “togliersi i vestiti di dosso”: quella del femminismo era infatti una liberazione basati sui contenuti.
Ma un altro problema che vivono oggi le famiglie è la mancanza di dialogo e dunque di scontro, elemento necessario che permette la maturazione della persona. Mancano inoltre modelli ai quali queste ragazze possono ispirarsi durante la crescita: vedo infatti dei padri che tendono ad essere amici più che genitori e delle madri che fanno altrettanto, arrivando magari ad avere un rapporto totalmente amicale con le loro figlie e dunque dimenticando il loro ruolo materno. Finisco segnalando un’ipocrisia che riguarda la finta tolleranza sessuale nei confronti della diversità nel mondo contemporaneo: non vi è affatto una tolleranza reale ma solo una tolleranza dovuta al volontà di apparire aderenti alla modernità, che però è priva di una maturazione autentica rispetto a queste specifiche tematiche.
Ma i nuovi strumenti di welfare secondo lei bastano per permettere alle donne oggi di sviluppare al meglio la propria autonomia?
Indubbiamente c’è un compagno nuovo all’orizzonte, con una certa propensione alla condivisione. Questo però è un processo lungo e a rischio di interruzione per molteplici fattori, tra cui la crisi economica: basta infatti pensare che le donne sono le prime a ritirarsi dal mondo del lavoro, tante volte in seguito alla maternità, la quale risulta spesso inconciliabile con l’attività lavorativa, per via soprattutto della carenza dei servizi sociali.
Infine, uno sguardo di tipo politologico: pensa che le socialdemocrazie europee, in particolare quelle dei paesi del Nord Europa, possano rappresentare dei modelli da seguire anche nel nostro paese?
Sì, anche se personalmente credo che le riforme sono frutto di una evoluzione specifica che non si può esportare come una merce. In particolare la religione protestante ha certamente influito nel rendere questi paesi socialmente avanzati: basti pensare che le donne dal 1500 nel protestantesimo hanno avuto il dovere di leggere e dunque conoscere i testi sacri, con la conseguenza che ciò le rendeva meno analfabete e più dotate di coscienza critica.