Il leader e fondatore dei Timoria presenta il suo ultimo libro, “La locanda dello zio rock”, al Festival delle storie. L’abbiamo intervistato
di Lucrezia Bottoni, allieva della Summer school
Festival delle Storie, Valle di Comino. Ci troviamo ai piedi del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Sembra quasi di essere catapultati in tempi lontani. I borghi, scolpiti nella roccia, si adagiano ai piedi delle montagne che li circondano, come in un abbraccio. È il 22 agosto e dopo un lungo temporale che sembrava non voler finire mai, il cielo su San Donato Val di Comino si apre per dare voce alle storie degli ospiti della serata. Travolgente è stata quella raccontata e accompagnata delle note rock di Omar Pedrini: cantautore e leader dei Timoria, poeta, conduttore tv, attore, scrittore, docente universitario, uomo di cultura e artista a 360 gradi. Nella “La locanda dello zio rock”, l’artista ci conduce in un viaggio alla scoperta dell’Italia della cultura e dell’enogastronomia raccontando attraverso le immagini, anche gli incontri con gli amici e con il pubblico. Dopo il suo intervento, seguitissimo, Omar si è reso disponibile a scambiare qualche parola con noi.
A distanza di trent’anni quasi dall’uscita, come vede la generazione “senza vento” cantata nell’album?
Mah, oggi io vedo una generazione, e lo dico sia da artista che da papà, che ha bisogno di tanto aiuto perché già le condizioni del pianeta che vi sono state lasciate o che vi abbiamo lasciato non sono favorevoli. C’è bisogno della comprensione di tutti, la politica non sta facendo nulla per la transizione ecologica che già arriverebbe tardivamente; quindi quando io vedo ragazzi della tua età provo un istinto di protezione e anche un dispiacere immenso. Sebbene anche io sia di una generazione non certo appartenente a quella del boom economico, quando pensavo da ragazzino al mio futuro, esisteva un’idea di futuro. Oggi voi avete anche la paura che non ci sia un’idea del domani e per un giovane deve essere una cosa davvero brutta, per questo c’è bisogno che si faccia qualcosa, che vi si aiuti, che vi si diano fondi, dobbiamo cambiare totalmente il nostro modo di pensare.
Quale approccio dovrebbero avere secondo lei i giovani alla vita che hanno davanti?
L’approccio che tutti dobbiamo avere è quello dei ragazzi di Fridays For Future per i quali ho scritto “Pianeta blu” raccogliendo le immagini della loro protesta a Londra mentre ero li in quel periodo, con lo spirito di guerrieri contemporanei. È ammirevole vedere che da soli hanno capito l’importanza della Terra ed è per questo che spero che arrivino degli aiuti per riconsiderare il lavoro, proteggere l’ambiente. Il lavoro del futuro sarà cercare di rimettere un po’ le cose in ordine, si potrà avere anche un indotto economico per voi, per lavorare. Una volta si diceva “si inquina per il benessere, respiriamo aria malata ma abbiamo la ricchezza, due automobili, cinque televisioni in ogni casa”. Oggi non si può neanche più dire quello: quando vedo i miei bambini esco di casa pensando di dover fare qualcosa per migliorare il loro futuro.
Vedendo gli attuali programmi elettorali, sono pochi quelli che trattano temi sui giovani e l’ambiente, quando lo fanno avviene in modo superficiale…
Il problema è che li trattano e fanno promesse che non vengono mantenute solo per accaparrarsi qualche voto in più. Ma non c’è più tempo per le chiacchiere, bisogna fare. Voi giovani dovete scendere in piazza, farvi sentire. Voglio incoraggiarvi, voglio essere il vostro cattivo maestro. Purtroppo il mondo non è più governato dalla politica, ma dal denaro e contro i soldi non vinci.
Nel 2015 esce l’album “2020Speedball”, nel quale immagina la deriva del mondo che verrà, tra l’avvento di internet vista come la droga del futuro, la Terra minacciata dall’inquinamento e la perdita di ideali. Cosa prova oggi vedendo che quel mondo che aveva pensato è diventato realtà?
Proprio stasera qui al Festival delle storie ho cercato di approfondire e spiegare questo concetto. Non sono stato di certo un profeta, ho solo cercato di acquisire più informazioni possibile e farmi un’idea di quello che sarebbe stato il mondo quando il mio primogenito avrebbe avuto la mia età di allora. C’è molta disinformazione e mancanza di cultura e non parlo di quella accademica ma di interesse verso la comunità, verso ciò che ci circonda. Quindi ragazzi studiate, informatevi, fate domande. Il disinteresse è letale, scendete in piazza.
Più volte ha infatti invitato i ragazzi a protestare dicendo loro di farlo con un libro in mano e non con le molotov…
Esatto, molto spesso nei miei concerti leggo dei libri e poi li butto tra il pubblico e questa è la mia rivoluzione. Io ero un ragazzo che frequentava la facoltà di Scienze politiche e approcciando alla sociologia ho aperto gli occhi sulle condizioni del mondo. È stato in quel momento che mi sono reso conto che quelle che avremmo lasciato ai nostri figli sarebbero state peggiori di quelle che ci avevano lasciato i nostri padri. Si poteva quindi intervenire, perché se l’ha capito quel ragazzo che ero allora, potevano capirlo anche i politici, i giornalisti, gli economisti che hanno preferito invece tapparsi le orecchie e gli occhi. Questo è il vero dramma. E se allora avevano sulla coscienza una parte della popolazione, oggi hanno sulla coscienza intere generazioni, rischiando di essere ricordati alla pari di Hitler, come uomini che hanno devastato l’umanità.
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In alcune interviste ha detto che è nato incendiario e morirà piromane, marcando quindi il suo lato battagliero e mai domo. In questo periodo storico in cui non si capisce chi vuole la pace e chi la guerra, in cui si fatica a capire le posizioni dell’Europa, dell’Onu, che quasi sembra che tutto vogliano tranne che la pace, pensa più da incendiario o più da pompiere?
Sono sempre un incendiario, certamente per degli ideali, ma sono anche un pacifista convinto. Sono assolutamente contrario alle armi. Sono stato un obiettore di coscienza. Ho fatto la lotta antimilitarista. I Timoria esordiscono nell’88 con un brano “Signor no” i cui fondi raccolti sono stati donati ad Amnesty International. Il brano era dedicato all’antimilitarismo, quando in Italia era ancora presente la leva obbligatoria, nel momento i cui è stata abolita ci siamo sentiti estremamente soddisfatti.
Omar, pensa veramente che la poesia sia morta come canta in “Mi manca l’aria”?
È una domanda che si lega molto a ciò che ci siamo detti finora. In quel disco pensavo che un bicchiere di vino o una poesia avrebbe cambiato il mondo. Era un invito ai poeti e agli artisti a reagire, ad esporsi. Ci sono figure di artisti militanti. In Italia abbiamo avuto un ragazzo giovanissimo, Ippolito Nievo, che è morto perché è voluto andare coi Mille in Sicilia a liberare l’Italia. Era bravissimo, scriveva divinamente. Ci sono artisti che vogliono sporcarsi le mani per cui speri sempre che siano da esempio e che anche gli altri facciano progetti di questo tipo. Non è facile, ma dobbiamo farlo, dobbiamo unirci e combattere. Le guerre sono un male totale. Non c’è niente di positivo in una guerra. Niente. È inconcepibile svegliarsi nel 2022 e vedere che uno Stato abbia aggredito un altro Stato. È una cosa talmente antica. L’unica guerra giusta che deve esistere oggi e in futuro è quella all’inquinamento. Russi, cinesi, americani, europei, dovranno unirsi per non soccombere insieme alla Terra.