La generazione delle storie

di Vittorio Macioce, direttore artistico del Festival delle storie

Nove giugno 2022. Sono le nove e ventuno del mattino. Quasi non ti accorgi del messaggio che è appena arrivato. Lo sbirci, lo leggerai più tardi. Parla del Festival delle Storie e non hai alcuna voglia di pensarci. Non più, non ora, non con leggerezza. È un fiore che resiste anche con poca acqua. Non c’è un motivo razionale per cui debba sopravvivere, eppure è ancora lì a sfidare i venti, senza santi in paradiso. Si nutre di magia, a dispetto di tutto e di tutti, con lo spirito ramingo e picaresco delle avventure improvvisate. È così testardo che sfida la volontà di chi, non solo tu, lo ha immaginato. È che ogni volta accade qualcosa che non ti aspetti, una illuminazione a sorpresa e scopri cose che nessuno aveva previsto.

Il messaggio arriva da A. e ha il passo della lettera.

“Ho 27 anni e sono giornalista praticante. Mi scusi se la disturbo. I miei nonni sono di San Donato e partecipo ogni estate al Festival delle Storie. Il festival per me significa legame con la mia terra. Ha alimentato la mia passione per il giornalismo e per le storie, e forse grazie a questa opportunità e ai corsi di scrittura creativa che avete proposto negli anni, che ho avuto il coraggio di iscrivermi alla scuola di giornalismo. Le scrivo per dirle che mi piacerebbe dare una mano al festival. Vorrei riconsegnare a quella valle tutta la meraviglia che mi ha dato”.

A. è cresciuta a Roma. La valle è la sua estate, ma non è questa la cosa più importante. È il conto che fai rapidamente della sua età. Nel 2009, quando l’avventura è cominciata, lei aveva quattordici anni. Il tempo spesso inganna, perché si allunga e si accorcia inseguendo stati d’animo e tracce imperscrutabili. Il calendario ufficiale dice però che sono passati tredici anni. Non sai se sono troppi o tanti. Di certo ti senti molto più vecchio e anche questa in fondo è una fortuna e ti rendi conto che chi ha sognato il Festival delle Storie e chi lo ha svezzato e chi ci ha messo cuore, muscoli e cervello non ha più vent’anni. Anche loro sono cresciute, ognuna a modo suo.

Questo festival è nato con un azzardo e non ha mai smesso di scommettere sulla sua sopravvivenza. Ti accorgi poi delle rughe sullo sguardo di chi non ha mai smesso di crederci e va avanti con un coraggio quasi scellerato. Le finestre si aprono una alla volta, casa per casa, sparse, per tutta la valle, come se stessero aspettando qualcosa, in silenzio o un sospiro strozzato, magari una brezza di vento improvvisa. Solo che non c’è ancora vento. Arriverà, come una promessa, una preghiera, una festa senza inviti. Chi vuole si mette in cammino.

Ti rendi conto che il festival ha messo radici e sono più forti di quanto si possa immaginare. Allora vedi che adesso ci sono ragazze e ragazzi di vent’anni che scommettono sul festival e ti aiutano e ti dicono che in fondo è normale. È normale perché nel 2009 erano bambini e loro con questo festival ci sono cresciuti e non sono mica come te che in fondo lo hai incrociato a quarant’anni. È stato il loro orizzonte, la loro estate, qualcosa che ti si appiccica alla pelle e non va più via. Non hanno mai avuto bisogno che qualcuno glielo spiegasse. Lo hanno semplicemente vissuto. E se chiedi, ti rispondono così.

– Ma questa valle esiste davvero?
– La valle è un punto di vista.

È la generazione festival delle storie.

Arrivederci al Festival delle storie