Dialoghi d’arte con Demetrio Paparoni. Fra critica, messaggio e percezione

Come si osserva un’opera? E quali sono i vincoli dell’autore al cospetto della realtà? Al Festival delle storie 2022 il critico e studioso, autore del volume “Arte e poststoria. Conversazioni sulla fine dell’estetica e altro”


di Antonella Spiridigliozzi, allieva della Summer school

Demetrio Paparoni, critico d’arte e accademico italiano, è stato ospite nella terza tappa del Festival delle Storie 2022, dove ha presentato il suo libro “Arte e poststoria. Conversazioni sulla fine dell’estetica e altro”. Una raccolta di dialoghi che il nostro ospite ha tenuto con Arthur Danto, critico d’arte statunitense specializzato in pop-art, espressionismo astratto e art concettuale , famoso nel panorama artistico e intellettuale americano per le sue collaborazioni su riviste quali The Journal of Philosophy e The Nation, fino al 2012. Nel testo si discute sul senso e sul destino dell’arte contemporanea, grazie anche ai contributi di Mimmo Paladino e Mario Perniola.

Professor Paparoni, quale atteggiamento deve avere lo spettatore di fronte un’opera di arte contemporanea?
Per molto tempo si è pensato che l’approccio retinico bastasse, in realtà dalla seconda metà dell’Ottocento, con il movimento impressionista, assistiamo al tentativo di far incarnare all’opera un significato, presupponendo alla base della sua conoscenza un insieme di conoscenze tecniche. Questo approccio si estende fino all’esperienza di Duchamp con l’arte concettuale in cui l’arte non è più solo rappresentazione, presentazione, ma la filosofia entra di diritto nell’arte. Conseguentemente lo spettatore si deve porre dinanzi all’opera con uno sguardo critico.

Nel ‘900 la rappresentazione della realtà entra in crisi, basti pensare a quanto sostiene Guy Debord nella “Società dello Spettacolo”, con una realtà che appare come un corpo che sfugge a qualsiasi tipo di fotografia. A suo avviso, nel mondo contemporaneo, in che modo l’artista si deve porre verso il reale e cosa deve fare per rappresentarlo in maniera autentica?
La regola numero uno per un artista è non avere regole, ma darsi delle regole! Non c’è arte al di fuori della storia dell’arte, vi è infatti un filo che collega le esperienze dei vari artisti nel corso del tempo: pensiamo alle opere nere che Anish Kapoor realizza con un nero studiato scientificamente in modo da assorbire la luce e dare profondità all’immagine che non risulta piatta ma si protende verso chi la guarda. Pertanto, nella comprensione di Kapoor non possiamo prescindere altrettanto dai neri di Malevic e di Ad Reinhardt. Per riconoscere un’opera d’arte devo essere in grado di poter discutere di arte, ovvero devo poter inserire l’opera all’interno di un discorso filosofico e dunque di attribuirle un chiaro significato, senza di esso infatti l’opera d’arte non ha ragione d’esistere.

Arrivederci al Festival delle storie