Arrivederci al Festival delle storie, un evento che dà voce all’anima

Ciò che lasciamo e quel che rimane in noi. Cosa è stata l’edizione 2022 del festival creato 13 anni fa da Vittorio Macioce fra vite che s’incrociano e richieste di pace


di Maria Teresa Mariani, allieva della summer school

Mezzanotte e quarantasette minuti. Una signora sistema le sedie, i ragazzi la aiutano. La serata è finita da circa un’ora, eppure fatica a terminare davvero. Ci sono ancora troppe domande da elaborare, troppe risposte da assorbire fino in fondo. Siamo a San Donato Val di Comino, nel Frusinate, dove 13 anni fa Vittorio Macioce diede vita al Festival delle storie. Giornalista, romanziere. Ma ancor prima che sulle sue innegabili doti comunicative, bisognerebbe soffermarsi sul valore morale di un uomo che lotta affinché continui a vivere la cultura in questi luoghi, nonostante tutto lasci pensare che interessi soltanto a lui ed ai suoi preziosi collaboratori.

«Questa valle è l’unica cosa verde rimasta qui. Ad un certo punto, inizia il grigio. I casermoni, la droga, le vite si perdono» aveva scritto anni fa in una lettera a Francesco Guccini per convincerlo a partecipare con la sua musica e la sua poesia. E c’era riuscito. Vittorio lo spiega bene, di fronte al pubblico nello splendido palazzo ducale di Atina, una delle tappe dell’edizione 2022 che hanno portato decine fra presentazioni di libri e concerti anche ad Alvito, Campoli Appennino, Casalvieri, Gallinaro, Isola Liri, Picinisco e Villa Latina. Il Festival, del resto, significa possibilità di respirare aria pulita, intesa non solo come quella piacevole brezza che si cerca quando si viene in montagna. L’aria pulita che permette di respirare idee, pensieri nei quali ci si riconosce, di quelle storie che sono linfa vitale. Non solo le storie raccontate in queste piazze, ma quelle che si sono intrecciate grazie al Festival.

 

 

Qui, il peso che ognuno di noi porta sulle proprie spalle, il fardello delle storie che sono delle nostre vite, si è alleggerito. C’è stata pace. La pace di cui ha bisogno Nikita, 22 anni, studente di Economia nell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, che ha partecipato alla summer school organizzata dall’ateneo durante la manifestazione coinvolgendo circa venti ragazzi di diversi dipartimenti che hanno realizzato lo storytelling multimediale di queste giornate. Nikita è arrivato qui ad Aprile da Charkiv, dopo l’inizio della guerra lo scorso febbraio. Ha lasciato la sua famiglia li, quando gli chiediamo perché ci si sente piccoli, impotenti ascoltando la sua risposta: il padre non può legalmente abbandonare la terra del grano che abbraccia il cielo, la madre non vuole. Impossibile biasimarla.

La pace che vorrebbe per le sue sorelle Mirwais, un altro studente del gruppo, private del diritto basilare allo studio. È  l’attuale realtà dell’Afghanistan, dove le ha lasciate lo scorso anno. Mirwais vuole solo che qualcuno risponda alla domanda:

«Cosa dovrebbero fare le donne afgane? Morire o resistere?».

Certo che dovrebbero resistere. Però, questo sembra equivalga comunque a morire. Senza il Festival delle storie – perché anche queste sono storie del festival – non si conoscerebbe il candore di questi occhi, non si potrebbe godere dei loro sorrisi. Si prova a comunicare mescolando le lingue che inevitabilmente si deformano. Eppure, a volte, capita che non ci sia la necessità di utilizzare le parole. Bastano, appunto, gli occhi.

Questo è il Festival. Una macchina perfetta che riesce a funzionare grazie a degli ingranaggi precisi, curati, meticolosi, come lo sono le persone che lo animano e che danno il proprio supporto organizzativo. Il piacere di passeggiare nei vicoli di questi paesini, permette di liberare la mente dal rumore che generalmente offusca tutto il resto. È un meccanismo difficile ma che funziona. A conferma che il suo carattere zingaro, con tutte le difficoltà che comporta, contribuisce ad alimentare un’identità di valle, quella per cui sta lottando Vittorio.

Al caffè Ducati, giusto all’ingresso di San Donato val di Comino, anche la barista racconta una storia. Scopriamo che il Festival è effettivamente l’unico collante che lega i paesi e unifica la valle. Si parla di antiche rivalità fra i diversi paesi, tramandate nel tempo, nate dalla feudalità. Ma al contempo apprendiamo che il desiderio delle nuove generazioni sia quello di abbandonare queste ostilità per lasciare il posto a quello che potrebbe essere un nuovo capitolo, una nuova storia che parli di fratellanza.

Perché in un mondo nel quale tutto va nella direzione opposta, il Festival delle storie cerca di ricostruire ciò che lentamente va frantumandosi. E alla fine ne usciamo anche noi trasformati, perché questo festival non è solo la somma dei singoli eventi ma qualcosa di più, un posto in cui si torna ad essere ciò che si è. E se qualche volta ci è capitato di perderci, ci si può ritrovare.

 

 

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